7 domande per conoscere meglio i “Déjà Vu Quartet”
E’ pronta la seconda parte dell’intervista ai Déjà Vu. Sette domande per conoscere più approfonditamente la musica e i progetti di questo meraviglioso quartetto che ha realizzato a Piccola Piazza d’Arti il prorpio CD di esordio.
…SECONDA PARTE
Ora veniamo al disco. Come nascono i brani dei Deja Vu? Oppure, se non c’è una regola fissa, ci raccontate come ne è nato qualcuno di quelli inseriti nella raccolta “Deja Vù Quartet” appena pubblicata?
Fabrizio: Direi che il lavoro il lavoro di composizione dei brani è un lavoro piuttosto semplice nella sua fase iniziale, poi come gruppo ci mettiamo del nostro. Perché semplice? Perché Gianni, piuttosto nottambulo, di notte si trova a suonare più che a dormire! E di notte compone. Ci fa trovare dei brani, delle melodie, delle parti ben precise. O meglio, la melodia di base è il frutto delle sue nottate, e noi quando arriviamo lavoriamo attorno a questa, creando il giusto ritmo, i giusti assoli, le giuste parti fra melodia e improvvisazione. Quindi i brani nascono finora più o meno tutti nello stesso modo. Da un’idea di Gianni, melodica principalmente, e poi dal nostro lavoro in sala prove.
Gianni: Le composizioni si rivelano a noi stessi per il contributo di ciascuno. Prendono forma partendo da una bella frase melodica o da un giro armonico accattivante, per poi completarsi. Un risultato che spesso ci sorprende. E ci gratifica.
Provo
ad approfondire la domanda precedente. Ascoltando i diversi brani del
disco si ha l’impressione di essere accompagnati in un percorso
immaginativo che ha per “guida” o centro tematico il titolo stesso del
brano. Penso a “Desierto”, “Frecciarossa”, “La giostra”, per citarne
alcuni. Senza l’aiuto della parola riuscite ad accompagnare
l’ascoltatore in un’ambientazione sonora, in un’paesaggio che si
costruisce nota dopo nota sul suono. Giocate assieme a lui, lo
trasportate. O perlomeno posso dire che questo è quanto ho vissuto io
nell’ascolto dei vari brani. Siete riusciti secondo me a non farvi
intrappolare dal bisogno di esibire a tutti i costi le vostre innegabili
capacità tecniche, che per musicisti bravi come voi può essere una
tentazione. Raggiungete così, a mio modestissimo parere, il risultato di
essere interessanti, di tenere “agganciato” l’ascoltatore per tutta la
durata del brano, in un buon equilibrio tra forma e sostanza.
Qual’è il ruolo dell’immagine visiva nella creazione della vostra
musica? Traete ispirazione da qualcosa o qualcuno in particolare?
Fabrizio: Dovremmo sentire cosa ha da dire Gianni, il compositore delle nostre melodie. Mi sento di poter dire che per i titoli ci siamo ispirati tutti e quattro a quello che il brano ci suggeriva mentre lo creavamo in sala prove. Ci siamo lasciati ispirare dalla musica. Per rimanere nella tua immagine, ci siamo messi a “camminare” insieme e poi abbiamo detto: “Toh, siamo arrivati qui!”.Abbiamo notato che la nostra musica ha una sua coerenza e che anche tra un brano l’altro esiste un legame. I diversi brani ci hanno portato ad ambientazioni che ricordano un po’ il viaggio. Un’alba, una madrugada piuttosto che una giostra, un deserto o un Freccia Rossa. Sono tutti aspetti legati al viaggio. Quando suoniamo questi brani durante i nostri concerti ci capita di vedere le persone con gli occhi chiusi e ci piace immaginare che attraverso la musica possiamo regalare loro qualcosa: magari proprio “un viaggio”, per quanto immaginario.
Gianni: Penso che certe melodie dei Deja Vu Quartet siano immaginifiche. Le atmosfere di certi brani come “Desierto” fanno pensare ai colori di un viaggio, o alle sfumature di luci ed ombre di certe foto in bianco e nero. Ma anche i paesaggi interiori così ricchi di contrasti emotivi.
Le sonorità del gruppo cercano di sedurre e di condurre “altrove”, attraverso un ascolto leggero, ma non superficiale, accattivante, ma non banale.
Federico: Voglio solo aggiungere che ritengo anch’io il modo di fare assoli, di costruire melodie e armonie di Gianni non tanto una dimostrazione di virtuosismo, ma una ricerca di purezza, di bellezza. E’ come se ci fosse un dialogo sonoro. Parliamo di assoli, ma si tratta anche di passaggi ben precisi. Molto spesso gli assoli sono parti precise dello svolgimento di un brano e per questo uguali in ogni concerto.
Ritengo interessante il nostro progetto perché c’è un manifestarsi individuale, ma c’è interplay, c’è l’espressione libera di ogni musicista ed allo stesso tempo ci atteneniamo ad una struttura ben precisa per ogni brano C’è spazio per tutti e tutti quanti ci impegniamo a rispettare quello degli altri. Sento importante “stare dentro” all’armonia, anche per me che suono strumenti che, solo apparentemente, non sono “obbligati” a fare questo. Cerchiamo tutti e quattro di essere coerenti a un’idea musicale e l’assolo in realtà ne è semplicemente un’espressione, è una parte di noi stessi.
Le etichette in musica sono spesso delle semplificazioni necessarie per scopi commerciali. Vi siete definiti come un gruppo dell’area “ethno-jazz”, ma quali sono gli elementi chiave del vostro stile musicale potendo descriverli con più parole e non in un tag molto sintetico come “ethno jazz”?
Fabrizio: Come si chiama la nostra musica? Dare un nome o un genere a volte serve solo per inscatolare la musica, per dargli un posto negli scaffali dei negozi oppure per cercare di venderla a un locale, per spiegarsi.
Federico: a volte è obbligatorio, necessario…
Fabrizio: Che musica è la nostra? Ethno, ethno world, jazz, ambient. A volte l’abbiamo definita anche “world music” che vuol dire tutto e niente. Torniamo al discorso di prima: in realtà, i tecnicismi, cioè quello che ognuno di noi sa fare con il proprio strumento non prevaricano il brano, ma cerchiamo semplicemente di inserire delle improvvisazioni dando il meglio di noi. Non in maniera schematica o come per dire “Adesso improvviso e vi faccio vedere quello che so fare!”. Tanto è vero che alcuni brani hanno l’improvvisazione di tutti gli strumenti mentre altri no. E’ il brano stesso ci porta su una strada; che a volte è quella dell’improvvisazione di uno strumento, a volte quella di due o tre strumenti. A volte ci porta a esprimerci secondo linguaggi più vicini al jazz, in altre risente di contaminazioni ethno, Quindi come definire la nostra musica? La nostra è semplicemente la musica dei Deja Vu.
Federico: Esattamente! E protagonista, per me, è l’”incontro”. Cioè l’incontro personale tra quattro persone e le loro capacità. Di cui fa parte la conoscenza di ogni singolo strumentista, ovvero la propria passione per la musica e la padronanza del proprio strumento, che si fonde dentro i Deja Vù.
Gianni: A me non piacciono le etichette e spesso far rientrare il nostro prodotto creativo in un contenitore preciso non rivela nulla che ci riguardi.
I colori delle percussioni sono cosa diversa dai suoni di una batteria, così come il timbro della fisarmonica non ha nulla a che vedere con un sintetizzatore.
Il basso di Jimmy è molto più di un supporto ritmico: è soprattutto canto melodico.
La chitarra classica arpeggiata è lontana dalle sonorità distorte e nevrotiche di una chitarra elettrica.
Il genere è acustico e direi “mediterraneo”.
Mi piacerebbe poter dire “viscerale” più che “cerebrale” anche se gli spazi dedicati all’improvvisazione rientrano in strutture compositive precise.
Il
vostro disco è stato registrato in modo anomalo. Di solito si fa un
disco in studio di registrazione oppure si registra un concerto e poi lo
si pubblica. Per registrare “Deja Vù Quartet” è come se aveste invitato
il pubblico in studio di registrazione, definendo questa operazione
“Live recording”. Perché questa scelta?
Federico: E’ piuttosto semplice spiegarlo, ma sicuramente farò confusione. Innanzitutto è vero che il pubblico è un po’ come fosse sempre il protagonista, è un po come se fosse un elemento, un musicista che suona con noi. Ognuno fa la sua parte.
La scelta di aver registrato dal vivo, in un luogo per noi familiare, in cui ci sembrava di sentirci a casa, cioè a Piccola Piazza d’Arti, è stata fatta perchè soltanto dal vivo riusciamo a esprimerci al meglio. La connessione tra i nostri sguardi, tra i nostri strumenti e tra noi e il pubblico ci permette di dare il meglio. La forma classica di registrazione a tracce separate, per noi che siamo una band abbastanza complessa a livello tecnico, sarebbe più improbabile e difficile. Quindi la formula live è quella più efficace anche perchè iniziando a suonare si crea un feeling tra di noi e questo feeling è proprio quello che da la pulsazione ai brani stessi.
Piccola
Piazza d’Arti è una realtà piuttosto giovane che sta crescendo e
affinando le proprie proposte di “polo artistico di animazione sociale e
culturale” come si definisce. Come siete entrati in contatto con questo
luogo? Qual è il vostro legame con esso? Siete soddisfatti del
risultato ottenuto è del percorso di lavoro che ha portato alla
realizzazione del CD? Perché?
Fabrizio: Piccola Piazza d’Arti è una realtà dove io e Federico abbiamo la fortuna di insegnare e dove effettivamente tra colleghi e amici si sta molto bene. Oltre a questo, anche lo spazio era adeguato a quello che cercavamo, quindi la scelta è stata naturale per suonare insieme. Ci siamo trovati molto bene, come spazio, sonorità e persone, anche con te Davide che come fonico hai seguito tutti gli sviluppi di questo lavoro. E’ stata una scelta azzeccata e che ha portato al risultato che speravamo. Noi ce l’abbiamo messa tutta e anche chi era attorno a noi. Spero che la realtà di Piazza d’Arti possa ospitare, come scuola di musica, altre realtà di questo tipo, fare altre registrazioni e che ci sia tanta musica sotto questo profilo all’interno di questo luogo.
Federico: per me Piccola Piazza d’Arti è la realizzazione di un sogno coltivato per tantissimi con tanti altri amici che collaborano come me dentro a questo progetto. Tu Davide, poi Daniele e tanti altri. Essendo la realizzazione di un sogno, siamo riusciti all’interno di questo luogo a creare la stessa cosa. Perchè anche per noi questo cd era un sogno… quindi diciamo che per noi Piazza d’Arti è un pò un grande “contenitore di sogni”.
Gianni: Sono soddisfatto del nostro primo cd.
Nonostante le imperfezioni di una registrazione live, nel disco è immortalata l’intesa di noi quattro e la carica emotiva trasferita in tutti gli 8 brani.
Ringrazio “Piccola Piazza d’Arti” per aver reso possibile la realizzazione di un sogno.
Fabrizio e Federico insegnanti nei corsi di musica che si svolgono nel centro, hanno permesso a Jimmy e a me di conoscere questo luogo “magico” dove si incontrano musicisti e artisti di ogni genere e dove abbiamo incontrato Davide, il nostro tecnico del suono, preziosissima figura professionale ed umana.
Dobbiamo alle sue competenze ed al suo contributo il buon risultato raggiunto nella registrazione del disco.
A
Piccola Piazza d’Arti ci sono tanti appassionati di musica che seguono i
nostri corsi. Qual è la cosa più bella della vostra personale relazione
con la musica che vorreste trasmettere a chi aspira a diventare
musicista e magari un giorno arrivare come voi a registrare la sua
musica?
Fabrizio: A costo di sembrare banali, il mio personale pensiero è che la musica è una passione ed è un divertimento farla insieme. A me personalmente questo mi ha sempre ripagato di tanta fatica, di tanti sforzi fatti che magari non sempre sono riconosciuti economicamente. Per cui la musica è qualcosa che ti ripaga sempre. La cosa che dico ai ragazzi a cui insegno o a quelli che volessero diventar musicisti (fra molte virgolette, perché è un termine che vuol dire tutto e niente) o registrare la propria musica, è di “darci sotto” perchè verranno sempre ripagati, nel divertimento, nella passione, nel conoscere persone incredibili e qualcosa di buono rimarrà sempre, soprattutto se si fa musica originale, se si creano proprie idee e le si mettono a servizio di tutti.
Federico: il consiglio è quello di ascoltare tanta musica sin da ragazzini, cercare di identificarsi con un artista, un musicista, un genere musicale; e suonare, incontrarsi, trovare la gente giusta conoscendosi suonando, suonare tanto! Fare il musicista potrebbe non significar nulla, perchè sono tempi strani e difficili, ma suonare e fare il musicista potrebbe significare “sposare” la musica e immergersi in essa totalmente.
Progetti prossimi e futuri?
Fabrizio: Il primo progetto è il cd che abbiamo in mano. Vorremmo che più persone possibili riuscissero ad ascoltarlo. Quindi il primo progetto è la diffusione del nostro lavoro. Il prossimo evento del Déjà Vu Quartet sarà un bellissimo concerto in piazzale Fellini all’interno di un bellissimo contenitore che si chiama “Art word” che conterrà un concerto diverso ogni sera, tante forme di arte e artigianato come dice lo stesso titolo della manifestazione. L’appuntamento è il 27 luglio 2016 più o meno alle ore 21.00 per un nostro concerto con tante sorprese che ora non possiamo svelarvi.
Federico: Venite a trovarci! Venite a trovarci!
Fabrizio: Altri appuntamenti non meno importanti sono il 31 luglio alle ore 19.00 suoneremo al Giardino di Rimini e l’1 agosto al Bistrot il Lavatoio a Santarcangelo.
Gianni: In conclusione gli 8 brani del cd rappresentano solo una parte della nostra produzione musicale. Mi piacerebbe far seguire a questo un secondo cd che completi l’opera sempre con gli stessi amici e sempre nello stesso luogo.
Ed in conclusione come è consuetudine dire: “Lunga vita ai Déjà Vu!”
Se sei interessato all’acquisto del CD puoi reperirlo nei seguenti modi:
– brevi manu tramite i componenti del gruppo
– vai ai loro concerti
– recati al Music Store di San Marino
– scrivi a dejavuquartet@libero.it
– telefona al 328 7094349 (Fabrizio)
– collegati alla pagina fb del gruppo: Dejavu quartet